Nel paese di Liolà cresceva una pianta molto rara chiamata
Cuorematto.
All’apparenza era un cespuglio come tanti, verde, folto e intricato.
Ma la sua particolarità era
che invece di produrre bacche produceva
dei bon bon a forma di cuore dalle proprietà magiche:
chiunque ne mangiava si sentiva subito più felice.
La cosa bella era che ognuno poteva
mangiarne a volontà senza sentirsi male e senza che i bon bon
diminuissero, anzi più se ne
raccoglievano e più ne ricrescevano.
Così tutti gli abitanti di Liolà che andavano a
mangiare le bacche di cuore matto erano sempre sorridenti e si aiutavano gli
uni con gli altri.
Molti pasticcieri avevano provato
a produrre artificialmente nelle loro
cucine gli stessi bon bon per venderli nei paesi vicini, ma non c’erano mai
riusciti.
Molti giardinieri avevano provato
a trapiantare il cespuglio di Cuorematto in altri giardini e in altre città ma
sempre senza successo.
La leggenda narrava che la pianta
era nata nel punto esatto in cui una pellicana si fermata a piangere per la
sorte dei suoi pellicanini malati, che
si era portata dietro nel sacco del
becco.
La povera pellicana, straziata
dal dolore, aveva vagato a lungo sul mare come impazzita e, senza sapere come,
si era ritrovata sulle coste del paese di Liolà.
Lì aveva poggiato a terra i suoi piccolini che sembravano morti e aveva
iniziato a straziarsi il petto con il becco fino a farne uscire il sangue. Quel
sangue, colato sui piccoli
pellicanini, li aveva guariti, e la pellicana
era tornata a volare felice sulla
superficie del mare seguita dai suoi figlioletti sani e salvi.
Il giorno dopo, nel punto esatto
in cui era colato il suo sangue, era comparso il cespuglio di Cuorematto con i
suoi frutti bonbon miracolosi.
Accadde un giorno che dal paese di Liolà i giovani dovettero partire in cerca di lavoro altrove.
Gli anziani genitori li
accompagnarono alla stazione, li abbracciarono forte forte, sventolarono a
lungo i loro fazzoletti mentre il treno si allontanava, e, quando il treno
divenne un puntino lontano lontano, se ne tornarono a casa mogi mogi, col cuore
stretto e col pianto negli occhi.
Improvvisamente tutti gli
abitanti rimasti a Liolà divennero tristi.
Andarono al cespuglio di Cuorematto per mangiare i frutti
magici della felicità, ma sul cespuglio non trovarono neanche un bon bon.
Cuorematto aveva improvvisamente
smesso di dare frutti.
Fu chiamato allora il giardiniere
più famoso del circondario, un certo Potofino che aveva fama di essere il
migliore nella sua professione.
Per giorni e per mesi il signor
Potofino prodigò le sue cure al cespuglio. Potava, innaffiava, concimava,
parlava persino con tutte le foglie, ma di frutti non si vedeva neanche l’ombra.
Cuorematto sembrava essere
entrato in sciopero per sempre e nessuno capiva il perché.
Da quando erano partiti tutti i
giovani, il paese sembrava morto. Per le strade si incontravano pochissime
persone, tutte molto anziane, che camminavano a capo chino e non avevano voglia
di parlare fra loro. Le scuole erano deserte, perché i bambini erano andati via
insieme ai loro genitori che erano andati a cercare lavoro nelle grandi città e
nelle case in cui una volta risuonavano i loro gridolini ora si aggiravano
tristi i vecchi nonni soli.
Potofino, il giardiniere, le
aveva tentate tutte per far rifiorire il cespuglio di Cuorematto, e far tornare
il sorriso ai nonni soli di Liolà, ma senza successo.
Alla fine un bel giorno si arrese.
Rifece i bagagli, prese il vecchio gatto Alfredo, da cui non si separava mai, lo sistemò sul cappello per non perderlo di
vista e si avviò alla stazione di Liolà
per prendere il treno e tornare da dove era venuto.
Passando accanto al cespuglio di
Cuorematto si fermò un po’a riposare e lo salutò con un’ultima carezza e col
cuore triste.
In quell’istante vide passare lì
vicino una signora non più giovane ma ancora molto carina e vestita in modo
elegante che lo colpì per lo strano cappello che portava sul capo.
Era un cappello a forma di gabbia
con la porticina aperta.
Dalla porticina uscì una merla
indiana che volò sul cespuglio di Cuorematto e si mise a cantare un’aria della
Traviata, che diceva Amami Alfredo.
Il vecchio gatto di Potofino, che
si chiamava Alfredo, pensò che la canzone fosse per lui.
Da tanto tempo nessuno
cantava per lui una canzone così bella,
anzi nessuno aveva mai cantato per lui perché le gattine che si erano
innamorate di Alfredo, quando era giovane, non sapevano cantare.
Il gatto iniziò ad attorcigliarsi
intorno al cappello di Potofino come una molla a spirale per paura di svenire
dall’emozione e in un batter d’occhio si ritrovò innamorato della merla.
-Mi scusi- disse in modo educato
la signora della gabbia con una vocetta che sembrava quella di una bambina-
Violetta, la mia merla, è
indisciplinata. Crede di essere una grande cantante lirica e non perde
occasione per esibirsi davanti ai nuovi arrivati-.
- Non deve scusarsi-rispose il giardiniere - E comunque io non sono un
nuovo arrivato. Mi chiamo Potofino e sono qui da qualche mese per curare
Cuorematto. Ma le mie cure sono fallite e perciò ho deciso di tornare al mio
paese. Anche se, ora che l’ho conosciuta, mi dispiace di dover partire. Posso
almeno sapere il suo nome?-
-Ma certo- rispose la donna della
gabbia- Mi chiamo Diletta, ma in paese mi chiamano tutti Damapazza perché
cammino con la gabbia di Violetta sulla testa.-
-Oh non si preoccupi, anche a me
hanno dato un soprannome. Mi chiamano Pollicesvitato, per il mio pollice verde
e il gatto sul cappello.-
I due scoppiarono a ridere come due ragazzini.
- E’ un vero peccato che lei sia
in partenza, signor Pollicesvitato- disse Diletta Damapazza- lei mi sta molto
simpatico, era tanto tempo che non ridevo più-
- Anche io non ridevo da molto
tempo- rispose Potofino Pollicesvitato con una punta di rammarico nella voce-
Adesso che l’ho conosciuta non vorrei più partire-aggiunse. Poi si fece rosso
rosso in viso e si inchinò per baciarle la mano guantata.
Anche Diletta si fece rossa rossa
per l’emozione e l’ombrellino le scivolò di mano.
Che si fossero innamorati anche
loro come Violetta e Alfredo?
Proprio in quel momento fra le
foglie di Cuorematto spuntò un bonbon rosso come il sangue.
-Guardi dietro di lei, signor
Potofino- urlò allora Diletta, sgranando
gli occhi per la meraviglia- Cuorematto è guarito.-
Potofino si girò e vide che il
cespuglio si stava riempiendo di tanti dolci e rossi bonbon della gioia, mentre
Violetta continuava a cantare su in cima Amami Alfredo.
Potofino non partì più.
Gli abitanti di Liolà lo
acclamarono a lungo per essere riuscito a far guarire la loro preziosa pianta,
ma il giardiniere non volle riconoscimenti.
Salì sul palco allestito per i
festeggiamenti e disse:
-Non è merito della mia bravura
se Cuorematto è tornato a dare i frutti della gioia.
Voi tutti siete convinti che sono
i suoi bonbon a rendervi felici e invece non è così.
Cuorematto è nato dalla gioia e dall’amore della pellicana che salvò i suoi
piccoli e sa dare frutti solo se intorno
a sé c’è la gioia e l’amore.
Quando i vostri figli sono
partiti, voi vi siete intristiti e non c’è più stato nessuno che gli facesse
sentire i battiti dei cuori che vivono nell’amore e nella gioia, nessun
bambino, nessun innamorato… Intorno a sé vedeva solo dei vecchi tristi e pensierosi e così ha perso la
capacità di dare frutti.
Poi il mio gatto Alfredo si è
innamorato di Violetta e io mi sono
innamorato della signora Diletta, anche se siamo già molto anziani e Cuorematto
è guarito.
Questo vuol dire che la felicità
non dipende dai suoi bonbon ma risiede
solo nel cuore di ognuno di noi.-
Da quel giorno tutti gli anziani
rimasti a Liolà non si aspettano più di
trovare la felicità mangiando i bonbon
di Cuorematto, ma vanno a raccoglierli e a mangiarli con il cuore già sereno
nell’attesa dei loro figli e dei loro nipoti che un giorno torneranno a
trovarli.
E Cuorematto, sentendo la loro
serenità, capisce di essere circondato dall’amore e continua a dare i frutti
più dolci e saporiti del mondo.
Ecco la storia è questa, bambini,
che non ci sono frutti magici che fanno innamorare.
Semmai è l’amore che ci fa
sembrare magica ogni cosa, persino le semplici bacche rosse di un cespuglio.
Se non sbaglio la ricordo, faceva parte di una iniziativa su Descrivendo, ricordo bene?
RispondiEliminaRicordi benissimo, anche l'immagine è la stessa. Rispolverata per Aurora che adesso ha sette anni e sembra di aver compreso a grandi linee il senso
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