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domenica 17 maggio 2020

Le bacche di Cuorematto (Fiaba per adulti)



Nel paese di  Liolà cresceva una pianta molto rara chiamata Cuorematto.
All’apparenza era   un cespuglio come tanti,  verde, folto e intricato.
Ma la sua particolarità era che  invece di produrre bacche produceva dei  bon bon  a forma di cuore dalle proprietà magiche: chiunque ne mangiava si sentiva subito più felice.
La cosa bella era che  ognuno poteva  mangiarne a volontà senza sentirsi male e senza che i bon bon diminuissero,  anzi più se ne raccoglievano e più ne ricrescevano.
Così  tutti gli abitanti di Liolà che andavano a mangiare le bacche di cuore matto erano sempre sorridenti e si aiutavano gli uni con gli altri.
Molti pasticcieri avevano provato a  produrre artificialmente nelle loro cucine gli stessi bon bon per venderli nei paesi vicini, ma non c’erano mai riusciti.
Molti giardinieri avevano provato a trapiantare il cespuglio di Cuorematto in altri giardini e in altre città ma sempre senza successo.
La leggenda narrava che la pianta era nata nel punto esatto in cui una pellicana si fermata a piangere per la sorte dei suoi pellicanini malati,  che si era portata dietro  nel sacco del becco.
La povera pellicana, straziata dal dolore, aveva vagato a lungo sul mare come impazzita e, senza sapere come, si era ritrovata sulle coste del paese di Liolà.
Lì aveva poggiato a terra  i suoi piccolini che sembravano morti e aveva iniziato a straziarsi il petto con il becco fino a farne uscire il sangue. Quel sangue,  colato sui piccoli pellicanini,   li aveva guariti, e la pellicana era tornata a volare felice  sulla superficie del mare seguita dai suoi figlioletti sani e salvi.
Il giorno dopo, nel punto esatto in cui era colato il suo sangue, era comparso il cespuglio di Cuorematto con i suoi frutti bonbon miracolosi.
Accadde un giorno che dal  paese di Liolà  i giovani dovettero partire  in cerca di lavoro altrove.
Gli anziani genitori li accompagnarono alla stazione, li abbracciarono forte forte, sventolarono a lungo i loro fazzoletti mentre il treno si allontanava, e, quando il treno divenne un puntino lontano lontano, se ne tornarono a casa mogi mogi, col cuore stretto e col pianto negli occhi.
Improvvisamente tutti gli abitanti rimasti a Liolà divennero tristi.
Andarono al  cespuglio di Cuorematto per mangiare i frutti magici della felicità, ma sul cespuglio non trovarono neanche un bon bon.
Cuorematto aveva improvvisamente smesso di dare  frutti.
Fu chiamato allora il giardiniere più famoso del circondario, un certo Potofino che aveva fama di essere il migliore nella sua professione.
Per giorni e per mesi il signor Potofino prodigò le sue cure al cespuglio. Potava, innaffiava, concimava, parlava persino con tutte le foglie, ma di frutti non si vedeva  neanche l’ombra.
Cuorematto sembrava essere entrato in sciopero per sempre e nessuno capiva il perché.
Da quando erano partiti tutti i giovani, il paese sembrava morto. Per le strade si incontravano pochissime persone, tutte molto anziane, che camminavano a capo chino e non avevano voglia di parlare fra loro. Le scuole erano deserte, perché i bambini erano andati via insieme ai loro genitori che erano andati a cercare lavoro nelle grandi città e nelle case in cui una volta risuonavano i loro gridolini ora si aggiravano tristi i vecchi nonni soli.
Potofino, il giardiniere, le aveva tentate tutte per far rifiorire il cespuglio di Cuorematto, e far tornare il sorriso ai nonni soli di Liolà, ma senza successo.
Alla fine un bel giorno  si arrese.
Rifece i bagagli, prese il  vecchio gatto Alfredo,  da cui non si separava mai,  lo sistemò sul cappello per non perderlo di vista  e si avviò alla stazione di Liolà per prendere il treno e tornare da dove era venuto.
Passando accanto al cespuglio di Cuorematto si fermò un po’a riposare e lo salutò con un’ultima carezza e col cuore triste.
In quell’istante vide passare lì vicino una signora non più giovane ma ancora molto carina e vestita in modo elegante che lo colpì per lo strano cappello che portava sul capo.
Era un cappello a forma di gabbia con la porticina aperta.
Dalla porticina uscì una merla indiana che volò sul cespuglio di Cuorematto e si mise a cantare un’aria della Traviata, che diceva Amami Alfredo.
Il vecchio gatto di Potofino, che si chiamava Alfredo, pensò che la canzone fosse per lui.
Da tanto tempo nessuno cantava  per lui una canzone così bella, anzi nessuno aveva mai cantato per lui perché le gattine che si erano innamorate di Alfredo, quando era giovane, non sapevano cantare.
Il gatto iniziò ad attorcigliarsi intorno al cappello di Potofino come una molla a spirale per paura di svenire dall’emozione e in un batter d’occhio si ritrovò  innamorato della merla.
-Mi scusi- disse in modo educato la signora della gabbia con una vocetta che sembrava quella di una bambina- Violetta, la mia merla,  è indisciplinata. Crede di essere una grande cantante lirica e non perde occasione per esibirsi davanti ai nuovi arrivati-.
- Non deve scusarsi-rispose  il giardiniere - E comunque io non sono un nuovo arrivato. Mi chiamo Potofino e sono qui da qualche mese per curare Cuorematto. Ma le mie cure sono fallite e perciò ho deciso di tornare al mio paese. Anche se, ora che l’ho conosciuta, mi dispiace di dover partire. Posso almeno sapere il suo nome?-
-Ma certo- rispose la donna della gabbia- Mi chiamo Diletta, ma in paese mi chiamano tutti Damapazza perché cammino con la gabbia di Violetta sulla testa.-
-Oh non si preoccupi, anche a me hanno dato un soprannome. Mi chiamano Pollicesvitato, per il mio pollice verde e il gatto sul cappello.-
I due  scoppiarono a ridere come due ragazzini.
- E’ un vero peccato che lei sia in partenza, signor Pollicesvitato- disse Diletta Damapazza- lei mi sta molto simpatico, era tanto tempo che non ridevo più-
- Anche io non ridevo da molto tempo- rispose Potofino Pollicesvitato con una punta di rammarico nella voce- Adesso che l’ho conosciuta non vorrei più partire-aggiunse. Poi si fece rosso rosso in viso e si inchinò per baciarle la mano guantata.
Anche Diletta si fece rossa rossa per l’emozione e l’ombrellino le scivolò di mano.
Che si fossero innamorati anche loro come Violetta e Alfredo?
Proprio in quel momento fra le foglie di Cuorematto spuntò un bonbon rosso come il sangue.
-Guardi dietro di lei, signor Potofino- urlò allora  Diletta, sgranando gli occhi per la meraviglia- Cuorematto è guarito.-
Potofino si girò e vide che il cespuglio si stava riempiendo di tanti dolci e rossi bonbon della gioia, mentre Violetta continuava a cantare su in cima Amami Alfredo.
Potofino non partì più.
Gli abitanti di Liolà lo acclamarono a lungo per essere riuscito a far guarire la loro preziosa pianta, ma il giardiniere non volle riconoscimenti.
Salì sul palco allestito per i festeggiamenti e disse:
-Non è merito della mia bravura se Cuorematto è tornato a dare i frutti della gioia.
Voi tutti siete convinti che sono i suoi bonbon a rendervi felici e invece non è così.
Cuorematto  è nato dalla gioia  e dall’amore della pellicana che salvò i suoi piccoli e  sa dare frutti solo se intorno a sé c’è la gioia e l’amore.
Quando i vostri figli sono partiti, voi vi siete intristiti e non c’è più stato nessuno che gli facesse sentire i battiti dei cuori che vivono nell’amore e nella gioia, nessun bambino, nessun innamorato… Intorno a sé vedeva solo  dei vecchi  tristi e pensierosi e così ha perso la capacità di dare frutti.
Poi il mio gatto Alfredo si è innamorato di  Violetta e io mi sono innamorato della signora Diletta, anche se siamo già molto anziani e Cuorematto è guarito.
Questo vuol dire che la felicità non dipende dai suoi  bonbon ma risiede solo nel cuore di ognuno di noi.-
Da quel giorno tutti gli anziani rimasti a  Liolà non si aspettano più di trovare la felicità mangiando  i bonbon di Cuorematto, ma vanno a raccoglierli e a mangiarli con il cuore già sereno nell’attesa dei loro figli e dei loro nipoti che un giorno torneranno a trovarli.
E Cuorematto, sentendo la loro serenità, capisce di essere circondato dall’amore e continua a dare i frutti più dolci e saporiti del mondo.
Ecco la storia è questa, bambini, che non ci sono frutti magici che fanno innamorare.
Semmai è l’amore che ci fa sembrare magica ogni cosa, persino le semplici bacche  rosse di un cespuglio.
 

2 commenti:

  1. Se non sbaglio la ricordo, faceva parte di una iniziativa su Descrivendo, ricordo bene?

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  2. Ricordi benissimo, anche l'immagine è la stessa. Rispolverata per Aurora che adesso ha sette anni e sembra di aver compreso a grandi linee il senso

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