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A Luigi- silloge breve

   A Luigi   Centoventitre Davanti la finestra del centoventitre c’era la strada dove ogni sera l’aspettava il suo giovane amore die...

sabato 23 maggio 2020

Le scarpe verdi






Stagione inquietante l’autunno, pensava Emily osservando dalla finestra i gialli e i rossi delle foglie avvoltolati da una brezza leggera in cortile.
Sistemò le rose bianche nel vaso, le ultime glamis castle della stagione. Le stesse di quella sera di giugno di dieci anni prima.
Dispose il vaso al centro della tavola e si dispose ad attendere.
Era tutto pronto per ricevere il suo ospite, anche la porta lasciata socchiusa sul lungo ballatoio da dove non passava mai nessuno.
Il tramonto diffondeva barbagli sui cristalli della tavola apparecchiata in un angolo e l’orlo della tovaglia, bianca come le rose, ondeggiava sulle scarpe verdi, assecondando il movimento delle gambe accavallate.
Aveva notato quelle scarpe  in una vetrina del centro e non aveva saputo resistere alla tentazione di provarle, nonostante il prezzo eccessivo. Un piccolo peccato di vanità per iniziare la vacanza, si era detta, ed era entrata nel lussuoso negozio. La commessa l’aveva servita e s’era dileguata con discrezione, lasciandole il tempo di riflettere sul suo acquisto.
- Se non le compra, sarò costretto a regalargliele in cambio di un invito a cena-, aveva detto improvvisamente qualcuno alle sue spalle.
Il timbro di quella voce le era piombato addosso come una mazza da baseball.  Avrebbe potuto riconoscerla fra un milione di altre anche dopo un milione di anni. Lo sguardo le era poi caduto sull’anello che l’uomo portava all’anulare destro e anche l’ultimo dubbio, se mai ne avesse avuto uno residuo, si era dileguato.
Non poteva essere altri che lo stesso uomo di dieci anni prima a Londra.
Si era affrettata a concludere l’acquisto per uscire il prima possibile dal negozio e mettere ordine nella testa in fiamme.
Nell’accompagnarla alla cassa con la scatola in mano, l’uomo aveva galantemente soggiunto: - Per favore, non voli via come la farfalla che ha sul polso. Potrei  rivederla?-
Emily non aveva trovato un filo di voce per rispondere. Il tatuaggio sul polso aveva allungato la carta di credito alla cassiera, la bocca aveva accennato un sorriso che invece era una smorfia e col sacchetto delle scarpe nuove si era precipitata sulla strada brulicante dello shopping di un qualunque sabato pomeriggio in quella zona del centro.
Aveva dovuto fermarsi poco più avanti. Era entrata in un bar, aveva ordinato al barista un tè e a se stessa il tempo per fare ordine mentale.
Ciò che stava accadendo aveva quasi dell’impossibile.
I giardini profumavano di mirra quella sera, c’erano rose ovunque. I due uomini erano nascosti dietro i cespugli profumati. Emily non ne aveva fiutato la presenza, non aveva sentito l’odore della cattiveria nell’aria né aveva udito i respiri perversi che un tiepido vento aveva preferito sospingere altrove. Non aveva nemmeno visto i loro volti coperti dai passamontagna e inutilmente aveva cercato di urlare. La lama era comparsa d’improvviso fra le mani di uno di loro, si era poggiata sulla sua gola e l’aveva convinta al silenzio prima che la voce trovasse lo spazio per uscire dalla bocca.
Aveva ingoiato le urla e il terrore, masticato il dolore, morso le mani che premevano sulle sue labbra finché era riuscita a farlo staccandone brandelli di carne, finché un pugno non l’aveva stordita. Le era rimasto negli occhi l’anello con la pietra blu e l’ariete d’oro in mezzo, che brillava perfidamente sotto un raggio di luna.
L’avevano violentata a turno, la lama del coltello premuta sulla gola, le risa oscene e sommesse. I passanti non s’erano accorti di nulla o avevano affrettato il passo per non doversi accorgere.  Prima di fuggire, uno di loro aveva strappato dal cespuglio vicino una rosa bianca e gliel’aveva lanciata addosso sugli abiti strappati, sulle cosce nude, sui graffi della pelle e le tumefazioni del volto.
Quanto tempo era rimasta al tavolino del bar davanti alla tazza di tè? La bevanda era già fredda quando i battiti del cuore avevano smesso di farsi sentire dallo specchio che aveva di fronte. E’ impossibile, aveva detto alla fine alla sua immagine nello specchio, smetti di farneticare e torna a casa.
La casa era quella di Sally a Porta Genova. Dal balconcino all’ultimo piano, vedeva le piccole opere d’arte dei comignoli traforati, in lontananza il luccichio del Naviglio di sera. La movida sulla strada, i locali gremiti. Difficile prendere sonno prima delle due di notte, a volte anche le tre.
Sally le aveva offerto la sua casa per un mese.
-Hai bisogno di cambiare aria ed io ho bisogno di una segretaria al più presto-, le aveva ripetuto per mesi al telefono.
Aveva resistito fino a quando l’amica non aveva ricevuto quell’invito negli States. Non avrebbe saputo a chi affidare la casa e i suoi fiori, non poteva rifiutarle un piacere, l’aveva implorata. Così si era decisa a partire. E mai avrebbe potuto immaginare che una manciata di giorni e un innocuo paio di scarpe verdi avrebbero trasformato la sua vita in un nuovo incubo.  
Bene, si era detta quando le ultime voci della notte giù nella strada si erano spente, devo capire se è davvero lui.
Tre giorni dopo aveva indossato le sue nuove scarpe verdi ed era tornata in centro. Non era stato difficile farsi notare dallo stesso uomo della boutique. Due sere dopo si raccontavano al Cinquantadue, tra una portata e l’altra  di Gio e salmon roll.
Silvio esibiva il primo brizzolato alle tempie con eleganza e disinvoltura. Il suo aspetto  non rivelava nulla di quell’antico animale che l’aveva aggredita insieme a un altro, una sera di dieci anni prima nella lontanissima Londra.
Ma questo Silvio a Londra c’era stato. Se ne vantò tra un sorso e l’altro di vino di riso, e più ne sorseggiava più diventava malinconico nel rievocare quella lontana vacanza all’estero, ospite di un caro amico, Jack.
-Ah così ti aveva ospitato un amico? Chissà se l’ho mai conosciuto!-
Emily ormai era decisa ad andare fino in fondo.
-Purtroppo non c’è più- aveva risposto lui, cercando di tagliare corto, facendole capire che non aveva voglia di parlarne.
Emily invece ne voleva parlare e come. Si erano riempiti nuovamente i bicchieri. La serata era appena all’inizio.
-Mi dispiace- disse lei- non volevo riaprire una vecchia ferita. Puoi dirmi come è morto? Incidente?
La risposta se l’aspettava ma le era piovuta ugualmente addosso come una valanga d’acqua gelida quando lui aveva risposto seccamente:-AIDS-
Le scarpe verdi si erano conficcate nel pavimento sotto il tavolo e le avevano trapassato il costato. Ormai non aveva più dubbi.
L’uomo che le stava di fronte, questo Silvio elegante e raffinato, proprietario di una delle migliori boutique di Milano, colto, danaroso, affascinante era lo stesso animale che l’aveva violentata a Londra, in una sera di primavera profumata di rose bianche.

E adesso? Che cosa avrebbe fatto adesso che sapeva tutto?
Si era fatta riaccompagnare a casa, non vedeva l’ora di togliersi di dosso le dannate scarpe verdi. Lo sporco di quella sera di dieci anni prima se l’era tolto di dosso già da tempo, ma era riaffiorato.
-Ti accompagno di sopra-, aveva detto lui appena parcheggiata l’auto davanti al portone dello stabile della casa di Sally-
-Scusami, ho mal di testa. Posso invitarti a cena domani sera?-
Si erano salutati con una stretta di mano. La mano le bruciava ancora dalla sera prima.
E adesso era lì, seduta alla tavola apparecchiata, le rose bianche al centro, le scarpe verdi a tormentare l’orlo della tovaglia, la Glock in grembo.
Aveva preso lezioni di tiro. Aveva preso lezioni di tutto dopo quella sera a Londra. Nessuno avrebbe più potuto coglierla impreparata a difendersi.
La rabbia a volte è un farmaco di sopravvivenza. Ma solo fino a quando non arriva una diagnosi maledetta.
Lo aveva scoperto qualche anno dopo la sera della violenza, dopo una serie di esami era arrivato il responso in una sigla, Aids.
La piccola arma adesso era pronta per il suo battesimo.
Silvio sarebbe comparso sul vano della porta, avrebbe dato uno sguardo alla tavola scintillante pregustando una serata romantica, si sarebbe avvicinato alle sue scarpe verdi invitanti. A quel punto Emily gli avrebbe puntato contro l’arma e sarebbe partito il colpo mortale della vendetta.
Poi pensò che il malato di Aids era Jack, non Silvio.  E Jack non esisteva più.
Sentì il profumo di mirra delle rose bianche avvolgerle il cuore e desiderò tornare nella sua casa a Londra. La vendetta non le avrebbe allungato la vita.
Prese la valigia pronta in camera da letto e chiamò un taxi.
-Malpensa- disse all’autista, poggiando le sue scarpe verdi nel vano  posteriore della vettura nell’attimo stesso in cui sull’altro lato della strada veniva parcheggiata un’Aston  rossa.

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