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A Luigi- silloge breve

   A Luigi   Centoventitre Davanti la finestra del centoventitre c’era la strada dove ogni sera l’aspettava il suo giovane amore die...

martedì 19 maggio 2020

Raccontami una storia






C’è una finestra a cui nessuno arriva. I vetri si aprono solo d’estate con una canna di fiume, le imposte non si chiudono mai. I raggi del sole riempiono ogni angolo sin dalle prime luci dell’alba, addensandosi in cortine di pulviscolo intorno al letto dove a volte mi fermo a dormire. Il materasso di crine scoppia di bitorzoli, il risveglio di luce. 
Al di là del pulviscolo, la nonna si pettina. In piedi, davanti alla specchiera,intreccia spume di capelli bianchi puntandole sul capo con forcine sottili. Intanto recita preghiere ai suoi morti.

Stanno in fila sul ripiano di marmo del comò, accanto alle forcine e al borotalco. Hanno visi di carta in cornici d’argento, lo sguardo mosso dalla fiammella di un lumino acceso. La loro casa è il cielo, dice lei, puntando il dito verso la finestra, dopo il segno della croce. 
Da giorni il nonno non apre i vetri. La luce  è di uno strano colore viola, nel cielo si inseguono figure che chiamano nuvole. Chiedo sempre di poterle toccare, ma non c’è nemmeno una scala. Non c’è più nemmeno la canna con cui il nonno apre i vetri d’estate. Ne cercheremo una nuova giù al fiume in primavera. 
I giorni passano e la nonna racconta ogni sera una storia. Aspettiamo che l’inverno finisca, sedute accanto al braciere con le bucce d’arancia che scoppiettano, mentre dietro i vetri della finestra sfilano nuvole immerse nel profumo viola del maestrale .

 Non sono mai riuscita a vedere i morti di cui parla la nonna dietro quella finestra né  a incontrare il grande uccello bianco che porta i bambini. Entra da quella finestra, lascia per me una sorella o un fratello e se ne va. Giungiamo tutti da un occhio di cielo e da lì torniamo ad uscire, come tutti quei morti sul comò. 
Ora su quel comò c’è pure il nonno. Non so se sia uscito da quella finestra. Quando è andato via,  non c’ero. 
Non si scende più al fiume a cercare la canna della lunghezza giusta per la finestra, la nonna indossa sempre abiti scuri. Nel materasso non c’è più crine ma lana. Io non vi dormo più. 
Non posso contare i giorni che passano dai capelli bianchi della nonna. Sono sempre stati bianchi. Le sue gambe non sono più svelte e non c’è più Schizzo a sgusciarle fra i piedi. Dalla cucina non giunge più profumo di ragù, la macchina da cucire è sempre ferma. 
Abbiamo chiuso le imposte della finestra ora che anche la nonna se n’è andata. Non so se anche lei sia uscita da lì, non c’ero nemmeno stavolta. Quando sono arrivata era un volto di carta in una cornice d’argento accanto al volto di carta del nonno, i loro sguardi immobili dietro una lampada votiva sempre accesa, accanto al letto di mia madre. 
Di tutti gli altri, quelli che stavano in fila sul comò, non resta traccia in nessuna cornice. 
Mi chiedo che ne è stato di tutto il tempo dentro quella casa, dei suoi profumi, delle risate, dei volti veri e di quelli di carta. Non c’è più tempo per loro, e ora non ce n'è più nemmeno per mia madre. 
Quello che cammina ancora per me deve averlo fatto con scarpe di velluto, perché non l’ho sentito. La donna che ogni mattina mi guarda dallo specchio, mentre mi preparo a uscire, dice di essere me e mi sembra impossibile. Vorrei lasciarla lì coi suoi anni che non mi appartengono, intrappolata nello specchio della vita come un piccolo diavolo a cui sta sfuggendo il tempo fra le dita. Vorrei rizzare il pelo come Schizzo e saltar giù dalla prima finestra a portata di mano anche se non ho sette vite come lui. Ho solo questa e non mi riconosco più.

La donna continua a guardarmi e mi chiede se anche per lei un giorno quel che resterà sarà solo un volto di carta dentro una cornice d’argento sopra un comò. Le rispondo che oggi le foto dei morti sui comò non si usano più. Poi, le siedo vicino e inizio a raccontare: “C’è una finestra a cui nessuno arriva...”

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