Il vecchio agitò il campanello
con l’angelo per la terza volta e senza attendere risposta iniziò a recitare la
solita sfilza di insulti che avrebbe fatto drizzare i peli della barba anche a
un ergastolano incallito e colpevole dei più efferati delitti.
Il braccio molle e rinsecchito
pareva prendere energia dall’angelo che fungeva da maniglia e il batacchio si
agitava come in preda al ballo di San Vito, ma quella buona a nulla della
badante continuava a non sentire. Si divertiva
a farlo aspettare. Come se lui fosse rimbambito e non capiva.
“Lisa, porca troia, dove sei
finita?” Si divertiva, la stronza.
Ah, ma lui non era ancora rimbambito, se lo mettesse bene in zucca quella
cagna dalla testa più vuota della canna
di un piffero. La sera prima aveva pure insistito
per fargli mettere il pannolone.
A lui, Michele Sera, il
colonnello, il pannolone?
“Mettilo tu”, le aveva urlato. “
Io sono perfettamente in grado di
capire quando ho bisogno di andare in bagno”.
Certo, se lo mettesse lei il
pannolone. Era grassa come un maiale, non ce la faceva più a camminare, lei sì che rischiava davvero di farsela addosso prima di
arrivare in bagno. Così le aveva risposto. E Lisa non aveva più insistito. Però
adesso si stava vendicando, faceva finta di non sentire per fargliela pagare.
Ah, giuro che la faccio nel letto
se tarda ancora un minuto, pensò,
chetandosi di colpo. Lo fece stare meglio il pensiero di tutto il da
fare che le avrebbe dato se avesse bagnato il letto. Se lo sarebbe meritato
quella sfaticata smidollata.
“Eccomi, smettila di suonare e di
urlare. Che c’è?”
L'uomo non riuscì a trattenere la
solita smorfia di ogni volta che se la trovava davanti.
“Ma guardati” l’apostrofò con
disgusto, “ sei più gonfia di un pallone aerostatico, non ce la fai neanche a
stare in piedi, tra un po’ ti metti a rotolare.”
Lisa aveva il fiatone e un
sorriso inespressivo su un volto rubicondo ed enfio che però non riusciva a
nascondere del tutto la delicatezza dei
lineamenti e la bellezza del tempo di gioventù.
“Smetti di agitare quel campanello,
o farai innervosire i vicini”, gli aveva detto, calma.
“Quei bastardi figli di puttana”,
aveva continuato ad urlare lui in
direzione della finestra, “ me lo fanno apposta”.
“Sono solo dei ragazzini che
giocano al pallone, calmati.” La voce di Lisa era pacata e dolce, come se
stesse parlando a un bambino svegliatosi
in preda a un incubo, come se lui non avesse appena pronunciato parole
da incubo.
Percorsa da sottili strisce di sole, la stanza
sembrava avere indosso la divisa di un detenuto.
Lingue di luce e ombra la attraversavano per andare a posarsi sul vecchio armadio lungo la parete
opposta.
Su quella linea di luce il colonnello in pensione tese il quadrante e guardò l’ora. Le
cinque in punto. I colpi di pallone
contro la facciata dell’edificio equivalevano a rintocchi d’orologio.
“Ma io me ne frego se sono
ragazzini, io vi sparo a tutti e vi faccio vedere chi è Michele Sera”.
Nel dirlo, estrasse da sotto il cuscino la beretta, l'aveva
puntata contro la donna e aveva premuto il grilletto. Poi si era alzato dal letto e a
piccoli passi, si era diretto alla finestra che dava sul cortile, dove cinque
ragazzini giocavano a palla. Fermo sulle gambe aveva sparato altri cinque colpi
di fila.
“Adesso avete capito chi sono io!?”
aveva detto a denti stretti alla prigione della sua camera, mentre un rivolo
caldo di pipì gli inzuppava i pantaloni del pigiama di cotone allargandosi in
una pozza sul materasso.
“Dammi quel revolver, Michele” Lisa adesso si era avvicinata al letto e con
delicatezza stava togliendogli di mano la
scacciacani giocattolo. “ Hai bagnato il letto” aveva aggiunto con la stessa
voce tranquilla con cui avrebbe detto bravo a un bambino che avesse scritto per
la prima volta una vocale sul quaderno. "Adesso ti porto il caffè e poi ti
aiuto a cambiarti”
Era tornata in cucina e aveva preparato una moka.
Aveva sistemato una tazzina bianca e una zuccheriera a fiori su un vassoio di plastica e aveva atteso
davanti al fornello che il caffè salisse piano lungo il cilindro, con lo sguardo
fisso sulla confezione di Veronal poggiata sulla mensola di fronte.
Quante pastiglie sarebbero
servite? Tre? Cinque? Meglio qualcuna in più. Non si sarebbe neanche accorto.
Era rientrata nella camera del
vecchio con la tazzina piena e il solito sorriso benevolo.
“Se non avessi te, angelo mio,
non saprei come fare” le aveva detto con un sorriso quasi paterno, appena la
figura di Lisa si era stagliata sulla soglia con il vassoio fra le mani.
“Bevilo con calma, Michele, poi
ti aiuto ad alzarti e ti accompagno in bagno”.
Mentre il vecchio beveva il suo
decaffeinato, era tornata in cucina, aveva preso la confezione di Veronal
ancora sigillata e l’aveva spostata sul ripiano delle a_tentazioni, il più alto
che c’era all’interno di un pensile lì a fianco.
Ahi, ahi, ahi! Si avvicina il tempo delle badanti!
RispondiElimina* Guarda che Michele Serra è del '54, è ancora giovane e potrebbe prendersela a male. Secondo me va meglio Michele Sgarra o qualcosa di simile, tanto la pipì se la fa lo stesso e le gocce, la sua dolce gazzella, gliele dà ugualmente!
Ops, ma quello di cui parlo io è un po' più vecchio, ok facciamo che il colonello mi diventa Sera, ma come mi diventa mi diventa ci sarà in giro un omonimo ahimè, spero non coetaneo
RispondiElimina"Michele Sera" va benissimo.
RispondiEliminaHo controllato su Google: nessun giornalista coi dentini aguzzi!