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A Luigi- silloge breve

   A Luigi   Centoventitre Davanti la finestra del centoventitre c’era la strada dove ogni sera l’aspettava il suo giovane amore die...

martedì 19 maggio 2020

Matti





Nessuno sa da dove sia arrivato. E’ comparso un giorno, come un fantasma,  nella casa abbandonata accanto alla chiesa diroccata  sulla collina. Un mucchio di pietre in rovina, rifugio di gatti neri che in paese non li vuole nessuno. E un esercito di cornacchie a presidiarne le mura e tenere lontane anche le capre. La sterpaglia che si attorciglia anche all’aria. 
Lo straniero non ha paura dei fantasmi, piuttosto sarà vero il contrario. Persino le cornacchie da un po’ tacciono e in giro non ci sono gatti di nessun colore. La gente dice che finiscono nelle  pentolacce dello  stregone. 

C’è chi lo chiama “americano”, per l’accento straniero, chi invece lo ha soprannominato “ lo sciancato”, per una gamba più corta dell’altra, che strascica rumorosamente sul bugnato del centro. Per i più è semplicemente ”il matto”.

Intreccia panieri di vimini che tenta di vendere nelle fiere paesane, dove si reca a piedi, avviandosi con diversi giorni di anticipo. A volte un carro di fieno in transito lo prende a bordo, facendogli risparmiare un po’ di strada. 

Va in giro mezzo nudo, estate, inverno e tutte le stagioni, un paio di scarpe sgangherate ai piedi, calzoni stracciati a mezza gamba con la cintola scesa all’inguine a sostenere malamente il ventre prominente, cui non v’è bottone di camicia che resiste. 
Rientra dai suoi viaggi con la stessa quantità di merce con cui parte, meno qualche paniere barattato per un fiasco di vino e un po’ di salsiccia.
Di sera la parte alta della Capraia si anima di strane luci. Saranno fiammelle di candele o fuochi fatui di anime defunte, nessuno lo sa. Ma sono bagliori che fanno accapponare la pelle. Una ragione in più per non avventurarsi da quelle parti, nemmeno durante il giorno. 
Non c’è molto con cui divertirsi in questo paese stretto fra la Capraia e il mare. Quando la scuola finisce, le ore del giorno non passano mai. La televisione non è ancora arrivata in tutte le case e, dove c’è, si accende solo di sera, per le notizie del telegiornale e il carosello. 
Il gioco dei  ragazzi è la strada e la campagna. Gli alberi su cui con gli altri della banda si fa a gara a chi arriva sul ramo più alto; le code tagliate alle lucertole, tanto dopo ricrescono; le micce attaccate alle code dei gatti che il matto non è ancora riuscito a mangiare; le zucche rubate nell’orto del vecchio Geremia che è mezzo cieco e nemmeno se ne accorge; le perlustrazioni al fiume sempre in secca, divenuto una discarica, alla ricerca di canne per farne cerbottane e di raggi di biciclette per farne freccette da infilzarci qualunque esemplare biologico e vegetale.
E’ divertente anche tirare pallonate ai vetri delle case, per ascoltare il rumore delle schegge sui selciati e poi sfuggire alle scope delle massaie. 
Scorribandano in ogni dove ma non si avvicinano mai a quella casa in collina con le sue luci, i suoi fantasmi e la presenza dello straniero matto.
Spesso si spingono fino alla scogliera a far nulla. Restano a guardare l’orizzonte che un giorno sperano di raggiungere e superare. E poi di tanto in tanto arriva Greta a prendere il sole nuda nella baia. Anche se non è più tanto giovane né bella, è l’unico corpo di donna che può soddisfare dal vivo la curiosità dei loro giovani occhi in cerca di proibito.
Vive da sola, in una porzione di casa colonica disabitata, a pochi metri dal mare. Dipinge strani quadri sulla spiaggia, a volte paesaggi. Ma anche fiori e farfalle sui foulard di seta che poi vende di casa in casa. 
Anche di lei dicono che è un po’ stramba. Non porta scarpe ai piedi ed è pure tedesca, una straniera, insomma.
La mattina che lo sciancato arriva fino in spiaggia, quasi se la fanno addosso per la paura. Lo vedono sbucare con il suo carico di cesti sulle spalle dallo sterrato che passa in mezzo alle vigne di don Mimì e dirigersi a riva, sollevando nuvole di sabbia con la gamba zoppa. Giunto sul bagnasciuga, s’incammina in direzione della tedesca.
-Adesso sì che c’è da divertirsi!-salta su a dire Ciro, detto il “rosso” per distinguerlo dall’altro Ciro della banda con i capelli color della stoppia. Il rosso è il capo, sa sempre cosa fare in ogni occasione. 
Partono a voce bassa le scommesse delle figurine dei calciatori, è il rosso che le raccoglie come sempre, chi vince avrà una delle sue fantastiche fionde. Il rosso ha l’album di figurine più completo di tutta la banda e la sua scorta di fionde non finisce mai.
Scommettiamo che la tedesca morirà sotto i nostri occhi, stritolata da quelle mani di ferro del matto che poi la getterà in fondo al mare. O forse se ne ciberà sotto i nostri nasi, anche se Greta, magra com’è, non riuscirebbe a sfamare neanche una sardina.
Mentre lo dice, il rosso trema e  allinea le sue cinque fionde sulla pietra liscia dello scoglio. Ha puntato sulla salvezza di Greta, sostiene che ce la farà a scappare perché ha gambe lunghe da gazzella. Non hanno mai visto una gazzella e da come il rosso strizza gli occhi e tira su col naso si capisce che non è sicuro della sua scommessa.
Greta, intenta a dipingere, non si accorge dell’intruso. Volge le spalle al mare, il suo pennello ha preso di mira una barca capovolta con la chiglia sfondata a mezza via tra la riva e gli ombrelli di euforbie a ridosso dei campi.
Il matto si è fermato all’altezza del cavalletto ed è rimasto immobile a fissare il fondo schiena scarno e rattrappito della donna.

Scommettiamo che la colpisce all’improvviso? Fanno gli spavaldi fra loro ma il terrore li  immobilizza. Dovrebbero avvisare l’anziana pittrice ma nessuno trova un filo di voce. Hanno  pure dimenticato le scommesse.
La donna intanto ha dato una sbirciata ai panieri con la coda dell’occhio, poi, senza quasi voltarsi, chiede: -Quanto vuoi per riparare due sedie di paglia?-.

Il matto non risponde. Indica il quadro sul cavalletto.

-Affare fatto-, conclude  lei posando, i pennelli, prima di correre a tuffarsi in acqua per la prima nuotata del giorno.
Prendono l’abitudine di andare insieme sulle strade in direzione delle fiere paesane. Lei senza scarpe, nei suoi prendisole striminziti, le spalle nude, vizze e lucide di olio solare, gli acquerelli sotto il braccio, avvolti in stracci imbrattati di colore; lui con i panieri a cascata sul dorso, i calzoni che gli scendono sotto il ventre, le scarpe sgangherate e le camicie lacere che non riescono a stare abbottonate sul petto.

I ragazzi continuano a spiarli fra una scorribanda e l’altra. Dalla scogliera spiano con occhi avidi le bracciate lunghe e calme di Greta, dai piedi della collina tengono d’occhio gli strani bagliori della casa in cima.

Ogni anno, il giorno prima della fiera, arriva in paese la carovana delle giostre. La banda dei monellacci va ad aspettarla giù al curvone, a cavalcioni del muretto da cui si scorge l’ultimo tratto di statale che aggira la Capraia.
Ingannano il tempo tirando con le fionde ai raduni di passeri fra le stoppie del grano già mietuto. E’ così che un pomeriggio scorgono Esmeralda avventurarsi verso il sentiero che sale alla casa del matto.
E’ un fatto insolito che una ragazza vada in giro da sola per le strade del paese. Verso la collina poi… Mollano i passeri e l’attesa della carovana di giostre e la seguono. La ragazza sale lungo il sentiero che conduce alla casa del matto a passi svelti e sicuri.

Tutt’intorno, il silenzio nella controra arrostisce sassi e gatti abbandonati sul selciato.
Non è alla casa del matto che punta Esmeralda ma alla chiesa. Ora è sul tetto con le braccia aperte, sembra un uccello che vuole librarsi in volo verso il cielo. Invece non vola, inizia a cantare.

”Io amo me stessa come me stessa”, e intanto danza al suono della sua voce sull’ocra delle pietre in bilico, scagliando al sole i suoi vestiti. Continua a cantare e a danzare finché non cade anche l’ultimo indumento, finché rimane nuda e senza voce, accartocciata sull’orlo delle tegole, in un silenzio di pietra. 

E all’improvviso appare lo sciancato.

Di masso in masso risale le mura rovinose e la raggiunge in cima.
Lei sembra non accorgersi di nulla. Si lascia avvolgere in una coperta che l’uomo ha portato con sé e si fa guidare docilmente fino a terra. 
-Ecco!- pensano all’unisono, col cuore in gola, i ragazzi appostati dietro fitti cespugli di more - adesso la ucciderà-. Invece il matto la prende delicatamente in braccio e inizia la discesa del sentiero in direzione del paese.
Forse  il matto  è meno matto di Esmeralda, che non era matta prima di diventarlo, si dicono i ragazzi. Prendono coraggio e il giorno dopo si dirigono di nuovo verso la casa in cima alla collina. Si fermano molti alberi prima e restano ad osservare. 
Appeso al tronco del vecchio noce a lato della catapecchia c’è il quadro di Greta. Il matto siede sul secondo gradino della porta, lo contempla e suona un’armonica a bocca. Davanti ai suoi piedi, un groviglio di vimini pronto da intrecciare.


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